Il «motore» dell’auto elettrica (o elettrificata) non è sicuramente un motore, bensi la batteria. È lei infatti, sin dall’inizio dell’elettrificazione delle 4 ruote, il suo fattore fondamentale di sviluppo e, dunque, anche economico e strategico, non solo per i singoli costruttori di auto, ma per intere aree geopolitiche.
La tecnologia scelta dalla maggior parte dei costruttori è quella degli ioni di litio, con strutture interne diverse: con celle a sacchetto (“pouch”), prismatiche o a pile, quest’ultima da sempre prediletta da Tesla i cui accumulatori sono composti da migliaia di elementi standard tipo 18650 o 2170, come nel caso della nuova Model 3. Per i primi due tipi invece bastano alcune centinaia di celle, allineate divise a moduli, per costituire i gruppi batteria delle auto ibride ed elettriche. L’unica eccezione nel panorama automobilistico è rappresentata dal gruppo Hyundai che, sin dall’inizio, ha scelto la tecnologia ai polimeri di litio che differisce da quella agli ioni poiché è allo stato solido e non liquido. La ragione fondamentale è la sicurezza, ed è per questo che molti costruttori si stanno già orientando verso questo ed altri tipi di batterie allo stato solido che promettono maggiore densità di energia e potenza oltre che maggiore velocità di ricarica. Toyota, che per la maggior parte delle sue auto ibride continua ad utilizzare ancora le batterie al nickel-metal-idruro (Ni-Mh), ha annunciato per prima di aver intrapreso questa strada e Volkswagen la seguirà a ruota, ma il percorso non sembra facile.
E Dyson ne sa qualcosa: dopo aver acquistato allo scopo nel 2015 la start up americana Sakti3 per 90 milioni di dollari, il re degli aspirapolveri ne ha declassato il valore di due terzi nel suo ultimo bilancio e la sua prima auto elettrica potrebbe non avere le batterie allo stato solido. L’asso nella manica della tecnologia agli ioni di litio per durare ancora a lungo è l’abbattimento dei costi, attraverso sia le economie di scala sia il drastico calo del contenuto di manganese e soprattutto di cobalto con il conseguente taglio delle spese di approvvigionamento e riciclo, altre grandi sfide presentate dall’elettrificazione.
Di sicuro, le novità potranno venire ancora una volta dall’elettronica di consumo che ha già preso il comando delle operazioni: Panasonic, LG e Samsung sono i leader incontrastati nella fornitura di celle, ma si avvicinano le ombre cinesi della Catl che ha già un contratto di 4 miliardi con Bmw e si è ricomprata la Aesc, joint-venture costituita, a suo tempo, dalla Nissan con Nec per “motorizzare” le proprie elettriche, ma questo modello industriale – quello che voleva le batterie come asset interno strategico alle case automobilistiche – non è praticabile da tutti. Resiste solo per Honda (Blue Energy Japan con GS Yuasa) e Toyota (Primearth con Panasonic). Esempi di strutture ancora più verticali sono la Mercedes, che ha in Accumotive il proprio personale atelier della batteria, e ovviamente Tesla che ha la sua celebre Gigafactory.
Tutti gli altri assemblano i propri accumulatori con celle fornite esternamente. In ogni caso, il fulcro industriale delle batterie per autotrazione sembra essersi stabilito nell’Estremo Oriente e la Cina è destinata a diventare il primo mercato e il primo produttore di celle. E l’Europa? L’opportunità è cruciale e l’UE ha chiamato l’industria e consorziarsi per unire le forze con i grandi gruppi dell’elettronica e della chimica: in ballo ci sono 4 o 5 milioni di posti di lavoro.